Distorsioni correlate con l’ascolto ?

Iniziamo con l’intenderci sul significato in senso lato del termine “distorsione”: tutto ciò che diverge dal segnale originario registrato sul nostro supporto è di fatto distorsione. Questo coincide con quanto “intendono” gli strumenti di misura per distorsione. Effettuando tre fondamentali misure come risposta in frequenza (su carico reale nel caso si tratti di amplificatori), distorsione armonica e distorsione di intermodulazione possiamo stabilire con buona approssimazione ciò che gli strumenti identificano come l’attitudine di un DUT (Device Under Test) ad essere fedele col segnale posto al suo ingresso.

Evidenziano tali misure una distorsione effettivamente correlata con l’ascolto?
Purtroppo solo in modo molto molto parziale come vedremo a seguito e più che altro solo per quanto riguarda la risposta in frequenza.

L’orecchio umano ha un suo modo di intendere i suoni che lo rendono meno sensibile ad aspetti distorsivi convenzionali (quelli che rileviamo benissimo strumentalmente) e immensamente più sensibile ad altri aspetti attinenti la propria “capacità di discernere” legata a funzioni cerebrali che gli strumenti non hanno.

Se poniamo un microfono nel punto di ascolto ed effettuiamo una misura di distorsione ci rendiamo presto conto che ciò che ascoltiamo usualmente ha distorsioni che per la nostra strumentazione sono semplicemente pazzesche (anche superiori al 100%) se non fosse che queste sono dovute al normale riverbero della nostra stanza…ovvero tutto ciò che è “onda riflessa” nella nostra stanza viene percepita dal microfono come “distorsione”…..ma (prima cruciale differenza tra i due “sistemi”) non viene percepita in tal modo dal nostro orecchio che riesce a discernere e “fondere” l’onda diretta con quella riflessa. In psicoacustica questo si chiama “effetto precedenza” che vedremo a seguito nel dettaglio.

Solo se le onde riflesse assumono una notevole consistenza e/o si hanno tempi di riverbero T60 lunghi (dovuti a stanze vuote o semivuote) ecco che la sensazione all’ascolto di un segnale complesso diviene quella di totale confusione…ma ancora non di “distorsione”.

Ciò che l’orecchio percepisce come distorsione è qualcosa quindi che può essere decisamente diverso da quello che riesce a rilevare uno strumento di misura.

Per vedere quello che è la nostra reale percezione della distorsione è possibile effettuare un test che trovate sul sito della Klippel, comodamente seduti davanti al vostro pc indossando una cuffia, questo il link: https://www.klippel.de/listeningtest/?v=3

A fine test otterrete un grafico statistico in cui osserverete la vostra individuale percezione della distorsione rispetto al restante (considerevole) campione statistico

Come potete notare la maggior parte delle persone non sentono distorsioni che sono decisamente di rilievo (e come vedete sono tra queste), ciò che è interessante rilevare è che l’ultimo campione di una certa rilevanza statistica è a -33dB!
Ora se considerate che i -30dB sono il 3% di distorsione (e l’1% di distorsione è a -40dB ) significa che la stragrande maggioranza delle persone non sentono distorsioni inferiori al 3% con un segnale musicale !
Esulando un attimo dal contesto distorsivo parrebbe quindi inutile utilizzare circuitazioni retroazionate che riducono a valori infinitesimi il tasso di distorsione nei circuiti audio….purtroppo questo è vero solo a metà in quanto la retroazione ha anche il benefico effetto di ridurre l’impedenza di uscita e ciò evita che un’amplificazione abbia una risposta in frequenza su carico reale che segue il modulo d’impedenza del carico…perchè questo si che sarebbe deleterio e ben udibile. Per cui è buona norma scegliere un amplificatore a bassa distorsione solo perchè questo ci da una ottima probabilità che sia anche a bassa impedenza di uscita (anche se ciò non ci dice ancora nulla su come possa suonare…).

Vediamo ora gli aspetti in cui il nostro orecchio diverge dalla percezione strumentale.

L’effetto precedenza, o legge del primo fronte d’onda, è un effetto psicoacustico binaurale ovvero un modo in cui la nostra percezione è diversa da quella di uno strumento di misura.
L'”effetto precedenza” fa si che quando due suoni identici vengono presentati in rapida successione, questi vengono ascoltati come fusi in un unico suono. Il ritardo tra i due suoni, per far si che ciò avvenga, deve essere al di sotto dei 10ms per i rumori impulsivi (ad esempio battito di mani) e fino a 40 ms per suoni più complessi come il parlato o la musica. Quando il ritardo è maggiore, il secondo suono si percepisce come un’eco.

Una forma particolare dell’effetto precedenza è l’effetto Haas il quale evidenziò che l’effetto precedenza appare anche se il livello del suono ritardato è fino a 10 dB più elevato rispetto al livello del primo fronte d’onda. In questo caso, la gamma dei ritardi, dove si manifesta l’effetto precedenza, è ridotta a ritardi tra 10 e 30 ms.

L’effetto Haas è divenuto sinonimo ai nostri giorni di “effetto precedenza”. Nel dicembre del 1949 Helmut Haas descrisse questo effetto nel suo dottorato di ricerca. Tuttavia, Haas non è stato il primo a descrivere questo fenomeno. Circa sei mesi prima della pubblicazione della sua tesi, Hans Wallach e i suoi colleghi pubblicarono risultati molto simili sull’American Journal of Psychology con il titolo “L’effetto precedenza nella localizzazione del suono”.  Ma anche Wallach era in ritardo di quasi 100 anni, poiché la transizione dalla fusione all’eco fu dimostrata da un esperimento condotto dal fisico americano Joseph Henry già a metà dell’ottocento.

Potete verificare nel vostro impianto in che cosa consiste questo effetto utilizzando un segnale monofonico (in modo tale che esattamente lo stesso suono venga emesso da entrambi i diffusori). Se state in una posizione equidistante sentirete il suono provenire da una fonte apparente in mezzo ai diffusori. Ma se vi disponete di circa 30 cm più vicini a una cassa (ipotizziamo la cassa sinistra) tutto il suono sembrerà uscire da quest’ultima. Regolare le intensità relative non elimina la disparità fra i tempi di arrivo alle nostre orecchie dei suoni emessi dai diffusori. Se le casse non sono equidistanti e aumentiamo molto l’intensità del suono emesso dalla cassa più lontana potremo ristabilire il “centro” ma la fonte apparente della voce ci sembrerà più eterea e dai contorni meno definiti.

Proprio per quest’ultima ragione i fonici sfruttano l’effetto Haas regolando un ritardo più o meno marcato di un canale (mediamente sui 10-15ms) per ottenere spazialità “simil stereo” da suoni monofonici.

L’effetto Haas è una dannazione nella sistemazione degli impianti stereo (per cui se volete correttezza di immagine dovete stare equidistanti dai diffusori come ben sappiamo), ma è molto desiderabile nella vita di tutti i giorni. Quando qualcuno vi parla in una stanza, voi sentirete tutto il suono come se provenisse dalla bocca di chi vi sta parlando, anche se la maggior parte del suono che vi raggiunge proviene per riflessione dalle pareti. Il suono riflesso aumenta il volume, ma non vi impedisce di identificare la direzione della fonte sonora. Lo stesso si applica agli strumenti musicali, in un teatro sentirete ciascun suono provenire dalla giusta direzione anche se la maggior parte del suono che raggiunge le vostre orecchie proviene per riflessione dalle pareti.

Battimenti nella riproduzione di frequenze vicine che distano tra loro pochi Herz si ascolta in riproduzione il battimento che avviene tra queste frequenze che determinano una sorta di “effetto leslie” (chi ama gli Hammond sa bene cosa intendo). In effetti la lieve differenza di frequenza determina una sommatoria con una sequenza di fasi concordi o opposte che per due frequenze (ad esempio) di 500 e 505 Hz determina un battimento a 5 Hz.

Ricostruzione della fondamentale
L’esecuzione di una nota provoca l’eccitazione della frequenza fondamentale e di tutte le armoniche essendo queste le frequenze multiple della fondamentale. Il cervello è in grado di ricostruire, anche se con un certo errore, la fondamentale a partire dalle armoniche superiori. Per contestualizzare questa proprietà pensiamo ad una radiolina portatile con il suo piccolo altoparlante. Questo riproduce con una banda di frequenze ridottissima ma è comunque individuabile la linea di basso grazie alla capacità del cervello di ricostruire la fondamentale a partire da informazioni sulle armoniche. A seconda della capacità di riprodurre più fedelmente tali armoniche si assiste ad una resa sul basso più o meno convincente del nostro sistema audio.

Mascheramento
Una frequenza con ampiezza elevata può mascherare frequenze vicine con ampiezze inferiori in quanto frequenze vicine vengono decodificate da ciglia appartenenti alla stessa banda critica. Questa proprietà viene sfruttata per realizzare algoritmi di compressione dei dati audio in formato digitale quali l’MP3. Un orecchio ben allenato su un sistema effettivamente trasparente riesce però ad accorgersi della mancanza di informazioni ambientali e di sfumature timbriche differenti su file MP3.

Percezione della profondità di campo ed effetto stereo
Il fatto di essere dotati di due orecchie ci permette (al pari di quanto capita con la vista a fronte di due occhi) di avere immediata identificazione di quanto possa essere più o meno lontano o da quale direzione possa provenire un  suono. Ci permette quindi una precisa identificazione in base ai differenti tempi di arrivo di un suono ai due padiglioni auricolari.

Questi sono solo alcuni aspetti (quelli più importanti) legati alla psicoacustica ovvero a come il nostro cervello interpreta fenomeni audio fisici in modo assolutamente diverso di come farebbe un singolo microfono posto nel punto di ascolto con a valle una catena di misura di elevata precisione.

Comincia ad essere maggiormente chiaro l’enorme equivoco interpretativo che c’è tra cosa intendono gli strumenti per distorsione e ciò che intende l’orecchio?

Che sia forse il caso di fidarsi un poco di più delle nostre orecchie dal momento che l’ascolto lo facciamo utilizzando quelle ?