Amplificazioni retroazionate: criteri di progetto (2a parte)

Premessa:  a scanso di equivoci questo non vuole essere un articolo didattico (si trovano svariati articoli tecnici di buona qualità in rete su questi argomenti) ma solo una “panoramica” indirizzata a tutti, al fine di comprendere/evidenziare alcuni aspetti importanti nella progettazione classica di una amplificazione. Non vedremo quindi gli aspetti prettamente tecnico/circuitali che esulano dalle finalità stesse di questo articolo. Nella prima parte (che trovate qui ) abbiamo fatto alcune considerazioni sulle compensazioni in frequenza necessarie per rendere stabile un amplificatore controreazionato, vediamo ora alcuni altri aspetti che riguardano sempre la progettazione canonica di un amplificatore per alta fedeltà.

L’approccio alla progettazione di un amplificazione è un’esperienza in cui l’adagio latino “in medio stat virtus” sembra stia scritto ovunque…ed è forse la prima cosa saggia da apprendere.
Progettare un amplificazione è infatti l’arte di saper non cedere alle esagerazioni ma di trovare un giusto equilibrio tra diversi fattori al fine di riuscire ad ottenere quanto di meglio possibile nel trattamento di segnali in banda audio. Noterete che ho utilizzato la parola “equilibrio” e non “compromesso” in quanto le scelte che andremo a fare, se fatte con equilibrio, non rappresentano dei compromessi udibili come tali.
Ogni tipo di approccio nell’audio presenta sempre pro e contro, occorre tarare con cura questa “bilancia” valutativa se si vogliono ottenere risultati degni di nota. Mi spiace per i curiosi ma anche in questo articolo non si parlerà di CCI ma solo di progettazione canonica 🙂

Un tempo i progettisti audio si valutavano per l’eleganza delle loro soluzioni circuitali che venivano analizzate con attenzione su riviste tecniche, oggi , in epoca “social network”, si è invece sempre più affermata la tendenza alla valutazione “a colpo d’occhio”. I designer più trendy (tra coloro che si occupano di progettazione a stato solido) sono quelli che riempiono contenitori con innumerevoli condensatori in parallelo e lunghe file di transistor finali parallelati all’insegna del sovradimensionamento, aspetti di cui usualmente si valutano solo i “pro”, ma che hanno anche considerevoli “contro” che di fatto rendono peggiorative (sul suono) tali scelte. Tuttavia l’occhio vuole la sua parte e la quantità si presenta sempre meglio della mancanza di quantità…e soprattutto è molto molto più facile venderla…infatti i progettisti/costruttori che lo hanno capito stanno perfettamente al gioco …gli altri chiudono i battenti.

Ma andiamo con ordine riprendendo il discorso dove lo avevamo lasciato.
Abbiamo visto nella prima parte che il fattore di retroazione è legato a doppio filo con la compensazione in frequenza: maggiore sarà il fattore di retroazione e maggiore dovrà essere la compensazione in frequenza (ovvero il polo dominante dovrà essere tanto più basso in frequenza) per mantenere stabile l’amplificatore, per cui serve trovare un adeguato compromesso, occorrerà non esagerare con la retroazione per non dover esagerare con la compensazione in frequenza (“in medio stat virtus”…e uno).
Aumentare troppo il fattore di retroazione (e, ancor più, utilizzare zeri di compensazione) comporta inoltre dover aumentare i margini dinamici che ciascuno stadio deve avere per trattare il segnale di correzione ed evitare che l’ampiezza di questo vada a saturare lo stadio medesimo generando TIM (transient intermodulation distorsion). Nel 1972 Matti Otala dimostrò l’esistenza di una forma di distorsione che non si evidenziava con segnali sinusoidali in banda audio ma con il transito nell’amplificatore di segnali con frequenze molto superiori a quelle audio che rendevano evidenti i limiti dinamici di correzione (ovvero quando il segnale di correzione eccede l’ampiezza massima gestibile da ciascuno stadio) e di velocità (slew rate) dei vari stadi. Egli dimostrò che per avere un amplificatore esente da tale distorsione occorreva che la banda di potenza dell’amplificatore (ovvero la banda passante indistorta che l’amplificatore ha alla massima potenza di uscita) fosse non inferiore alla banda passante per piccoli segnali del medesimo. In assenza di tale requisito l’amplificatore può generare tim quando si presentano segnali in ingresso con adeguata ampiezza e larghezza di banda.
Occorreva quindi:
1) avere un adeguato slew rate
2) limitare la banda passante dell’amplificatore
(“in medio stat virtus”…e due).
La banda di potenza di un amplificatore è strettamente connessa alla velocità (slew rate) dello stadio più lento che è normalmente quello ove si pone il polo dominante. La relazione che lega la banda di potenza con lo slew rate è:  SR= 2π x fp x Vm  ove fp è la banda di potenza (espressa in MHz) e Vm è la tensione massima di picco in uscita.
Se il polo dominante è posto nello stadio di ingresso, occorre tener conto che lo slew rate di tale stadio va moltiplicato per il guadagno del secondo stadio per ottenere lo SR finale, se invece il polo dominante è posto nel secondo stadio (VAS) lo slew rate dell’ampli sarà semplicemente dato dalla relazione SR=Ic /Cc  , dove Ic è la corrente di collettore del VAS e Cc è il valore del condensatore medesimo.
Dal momento che, nella prima parte di questo articolo, abbiamo posto come requisito del nostro “amplificatore esempio” una banda passante limitata a 100KHz (autolimitata con passa basso all’ingresso) sarà sufficiente avere una banda di potenza superiore ai 100KHz per non avere problemi di TIM.
Se supponiamo che il nostro amplificatore sia un 50W/8ohm avremo un’escursione di picco di 28V per cui avremo necessità di uno SR di almeno 6,28 x 28 x 0,1 = 17,6V/uS.

Stiamo in realtà dando per scontato che, a fronte di una banda limitata (e quindi di segnali di correzione ridotti), avremo un margine dinamico adeguato nei due stadi di guadagno in tensione ma questo va ovviamente valutato anche e soprattutto nel momento in cui si stabilisce come spartire tale guadagno tra gli stadi, conviene infatti non esagerare con il guadagno dello stadio di ingresso per aver modo di fornire al VAS un segnale che abbia ancora una limitata escursione di tensione, non solo per avere ampi margini dinamici ma anche per mantenere bassa la distorsione da variazione di vbe del transistor di ingresso del VAS.
Se si utilizzano anche degli zeri di compensazione sull’amplificazione al fine di estendere la banda closed loop, occorre prestare ancor maggiore attenzione nel dimensionare opportunamente i margini dinamici di ciascuno stadio in quanto il segnale di correzione sarà di ben maggiore ampiezza a frequenze elevate.

Un altro aspetto da calcolare opportunamente è la corrente di polarizzazione del VAS, non solo per quanto riguarda lo SR ma anche e soprattutto perché questo stadio non deve venir “caricato” dall’assorbimento di corrente dello stadio successivo di guadagno in corrente (lo stadio finale) che a sua volta deve venir calcolato con un guadagno di corrente sufficiente per non gravare sul VAS neppure nelle peggiori condizioni di utilizzo. Se infatti il VAS viene “caricato” dall’assorbimento dello stado finale si peggiora drasticamente sia la distorsione che l’impedenza di uscita dell’amplificatore.

Personalmente effettuo il calcolo per l’assorbimento a piena potenza su carico di 2 Ohm ponendo in tali gravose condizioni un assorbimento massimo sul VAS da parte dello stadio finale pari a 1/10 della sua (del VAS) corrente di polarizzazione. E’ un approccio questo che offre un margine di sicurezza decisamente maggiore di quello che canonicamente si imposta. Nel caso in esempio, 28V di picco su 2Ohm generano una corrente di picco di 14 A e considerando un classico Darlington di uscita con un guadagno in corrente (a caldo) medio (facilmente raggiungibile) di 60 x 60 =3600 avremo una corrente di picco assorbita sul VAS pari a 14/3600= 3,8mA. Ciò determina una corrente di polarizzazione del VAS di ben 38mA. Supponendo sia un VAS con pozzo di corrente (e/o comunque sia composto da un paio di transistor complementari per fornire l’intero swing di tensione) la dissipazione termica verrà spartita tra i due dispositivi i quali saranno chiamati ciascuno a dissipare ben 30 x 0,038= 1,14W…occorre quindi fornire i transistor del VAS di un dissipatore termico. Supponiamo ora di avere un condensatore di compensazione (polo dominante) di 100pf sul VAS (se si scelgono dispositivi e soluzioni circuitali adeguate normalmente tale condensatore può essere inferiore a questo valore), con 38mA di corrente ci da un SR di ben 38/0,1=380V/uS che come vedere è mooolto superiore a quanto richiesto dal progetto. Non avremo problemi di TIM neppure per bande ben maggiori dei 100KHz prefissati ma sempre meglio avere un margine di sicurezza maggiore quando, diminuendolo, non si otterrebbe alcun vantaggio (“in medio stat virtus”… e tre).

Ora scegliendo opportunamente i dispositivi finali e ponendo una limitazione di corrente per carichi inferiori ai 2 Ohm (che se ben realizzata non comporta proprio nessun problema sul suono), ci si può ancora permettere, con un amplificatore di tale potenza (50W/8Ohm…supposto idealmente erogare 200W/2Ohm, in realtà qualcosa meno), di utilizzare una SINGOLA coppia di transistor finali. Ciò comporta la maggior velocità possibile dello stadio finale. Più transistor in parallelo determinerebbero infatti il parallelo anche delle loro capacità parassite, riducendo la velocità dello stadio e quindi anche il margine di stabilità dell’amplificatore a parità di altre condizioni (“in medio stat virtus”…e quattro). Ovviamente per potenze immediatamente superiori saranno necessarie almeno due coppie di transistor finali…con una singola coppia siamo al limite della SOA (safe operation area) dei transistor finali più prestanti disponibili in commercio e quindi la protezione in corrente per carichi immediatamente inferiori ai 2 Ohm è fondamentale.

A questi aspetti, si aggiungono quel complesso di regole da porre in atto (polarizzazioni con retroazioni locali in primis) per ridurre la distorsione già ad anello aperto evitando gravosi lavori alla retroazione globale, un approccio sui cui benefici (per quanto minimamente udibili) mi sembra ci sia un quasi unanime accordo tra i progettisti audio.

Facendo attenzione agli aspetti suddetti ed associando all’amplificatore un’alimentazione che non si inginocchi quando è richiesta l’erogazione in corrente, si può giungere ad un risultato che sulla carta è già molto promettente. Sulla carta appunto…ed è quanto è sufficiente per molti. Quanto visto sopra e’ utile per fare in modo che un amplificatore retroazionato abbia le potenzialità necessarie per poter suonare bene….ma può ancora benissimo suonare in modo orribile se non si tengono in conto altri aspetti progettuali MOLTO influenti sul suono, che sono in gran parte (anche se non esclusivamente) legati all’interfacciamento con il contenitore in cui tale circuitazione si troverà a lavorare (un argomento che esula da questo articolo).

Prendendo in esame un certo numero di amplificatori con data di progettazione precedente all’avvento di Otala, è curioso osservare che sono comunque molti (anche se non moltissimi) quelli esenti da TIM. Lo sono generalmente quelli che ponevano in atto quel semplicissimo intervento di umiltà rappresentato dall’autolimitazione della banda passante a poco più della banda audio. Chi si accontentava “di poco” non aveva (quasi mai) problemi di distorsione di intermodulazione dinamica…chi invece cercava la “prestazione” di ampia banda passante e bassissima distorsione armonica a fronte di forti tassi di retroazione (talvolta superiori ai 100dB!)…beh…rimase molto scottato dalla TIM (“in medio stat virtus”… e cinque).

Un altro aspetto importante è l’insensibilita dell’amplificazione a fronte di disturbi indotti dall’esterno, un aspetto cruciale per il buon suono di un amplificazione: non esiste nessuna amplificazione al mondo che sia dotata di un unico ingresso. Da questa considerazione nacque in tempi remoti la mia personale ricerca sui perché .
Quando pensiamo di applicare un segnale all’ingresso del nostro amplificatore, dimentichiamo che in realtà tutto il circuito del medesimo è pervaso da concatenamenti con onde elettromagnetiche di disturbo che possono essere a bassa (100Hz dell’alternata raddrizzata) o ad alta frequenza (emissioni radio) e si identificano comunemente come rumore di fondo. Esiste una misura chiamata CMRR (common mode rejection ratio) ovvero rapporto di reiezione di modo comune, che identifica la capacità di un amplificatore differenziale di amplificare ciò che si presenta su un ingresso e di sopprimere (essendo differenziale) ciò che si presenta in modo analogo su entrambi i suoi ingressi. Un CMRR elevato significa che il nostro amplificatore si comporta ottimamente nei confronti di disturbi esterni. E’ quindi conveniente avere sempre un amplificatore differenziale come primo stadio…non solo perchè questo è il modo migliore per sommare il segnale di retroazione al segnale di ingresso ma anche per mandenere il più possibile elevato Il CMRR. Per fare ciò occorre che anche le impedenze di ingresso (dei due ingressi) “viste” dai disturbi indotti siano uguali nonchè abbiano il medesimo IDENTICO punto di massa. E qui mi fermo.
Su amplificazioni zero feedback invece non troverete mai un differenziale di ingresso in quanto non sembra sia utile a nulla. Non “sembra” appunto…

Ovviamente saremmo a cavallo se fosse sufficiente un differenziale per rendere totalmente insensibile un amplificatore dai disturbi indotti….purtroppo ogni punto del circuito che presenti un’impedenza sufficientemente elevata è potenzialmente un buon “punto di ingresso” per un segnale indotto. La misura del CMRR da comunque una valutazione relativa all’intero amplificatore per cui è sicuramente importante ed indicativa.
Un ultimo aspetto su cui va posto l’accento è quello relativo ai percorsi di massa: per ogni circuitazione in cui scorra una corrente ed in cui vi sia la presenza di una resistività (quella dei collegamenti), matematicamente si ha una differenza di potenziale. In funzione della distanza, della resistività dei collegamenti e delle correnti in gioco, avremo quindi altri segnali di “ingresso” che possono essere tutt’altro che semplici da “trattare” data la bassissima impedenza della barra circuitale di massa. La progettazione accurata dei percorsi delle connessioni a massa determina uno degli aspetti “extracircuitali” più influenti sul suono di un amplificatore e verso cui prestare maggiore attenzione…secondo come importanza solo al problema telaistico/vibrazionale (CCI).

Alla prossima puntata…in cui parleremo di alimentazioni…  😉