Amplificazione in corrente o in tensione?

La voglia di scrivere questo articolo mi è venuta dopo aver sentito una persona che ostentava, in un negozio, i vantaggi dell’amplificazione in corrente “perché con quel sistema si ha più corrente sulle casse” !
Dopo aver sentito una freddura di questo genere penso che non sia superfluo scrivere qualche riga in merito nella piena consapevolezza che comunque non verrà letta da coloro che ne avrebbero maggior bisogno.

Un amplificatore, come dice il termine (Lapalisse docet), amplifica un segnale che viene a presentarsi al suo ingresso per adattarlo all’efficienza e all’impedenza di un generico “carico” che nel nostro caso è rappresentato da un sistema di altoparlanti. Tale impedenza è genericamente standardizzata in un range dai 4 agli 8 Ohm nominali.
In funzione della grandezza presa a riferimento in ingresso ed in uscita possiamo avere amplificazioni in tensione-tensione, corrente-tensione (transresistenza), tensione-corrente (transconduttanza), corrente-corrente.
Giusto per essere chiari fin da subito: il 99,9% degli amplificatori in commercio sono in tensione-tensione ovvero prendono a riferimento una tensione in ingresso e forniscono tale tensione all’uscita amplificata del coefficiente di amplificazione proprio e con un adeguato (al carico impiegato) dimensionamento per quanto riguarda l’erogazione in corrente.
Quando si parla di amplificazione in corrente si citano in genere ampli a transconduttanza ovvero con amplificazione in-out tensione-corrente.
Per cercare di rendere comprensibile la differenza tra amplificatore in tensione e amplificatore in corrente anche a chi ha cognizioni tecniche minime facciamo un esempio. Supponiamo di avere i nostri due amplificatori, uno in corrente e uno in tensione, che supporremo per semplicità ideali. In un caso quindi uno si comporterà come un generatore di corrente costante e l’altro come un generatore di tensione costante. In entrambi i casi il termine “costante” si intende riferito al proprio coefficiente di amplificazione (tensione-corrente in un caso, tensione-tensione nell’altro) del nostro amplificatore che appunto se supposto ideale non deve cambiare, nonché al segnale di ingresso che supporremo (a titolo di esempio) di ampiezza costante in funzione della frequenza.
Un amplificatore che mantiene costante la sua erogazione in corrente al variare dell’impedenza del carico collegato determinerà una variazione di tensione ai capi del carico medesimo (semplice applicazione della legge di Ohm) che sarà direttamente proporzionale al suo valore di impedenza. Ciò significa che un amplificatore in corrente ideale (che quindi ha impedenza di uscita infinita) determina una risposta in frequenza che copia esattamente l’andamento del modulo dell’impedenza di carico.
Per contro un amplificatore che mantiene costante il suo coefficiente di amplificazione in tensione mantiene costante il voltaggio ai capi del carico e varia l’erogazione di corrente al variare dell’impedenza di quest’ultimo. Ne deriva una risposta in frequenza totalmente piatta e totalmente indipendente dall’impedenza del carico. Ricordo che stiamo parlando di casi ideali sia nell’uno che nell’altro caso. Non c’entra nulla quindi il dimensionamento sulla tipologia di amplificazione, in corrente o in tensione (da cui deriva l’interpretazione “da bar dello sport” di cui sopra), che è cosa totalmente indipendente dal sistema scelto. Va da se che se non si vuole creare un “generatore di colorazioni” non sarà possibile utilizzare un amplificatore in corrente se non cercando di compensarne la risposta in frequenza con un equalizzazione ad hoc studiata per compensare la curva di impedenza dello specifico sistema di altoparlanti adottato.
Ma la domanda che sorge spontanea è: fino a che punto vale la pena complicarsi la vita? A che pro? Quali sono i vantaggi di tale sistema?
Fondamentalmente due e a condizione determinante che l’amplificatore “veda” direttamente l’altoparlante, quindi con l’utilizzo esclusivo su sistemi attivi dotati di crossover elettronico:
1) Il pilotaggio in corrente tende a compensare le distorsioni da non linearità di movimento dell’equipaggio mobile. Ciò si evidenza con un miglioramento del tasso di distorsione a fronte del pilotaggio di woofer nella zona superiore alla risonanza. Quasi irrisoria o addirittura controproducente è invece la differenza pilotando midrange o tweeter .
2) La compensazione delle cosiddette distorsioni termiche: a fronte di pilotaggio con potenze elevate la bobina mobile di un altoparlante varia, scaldandosi, la propria resistenza (in aumento) e quindi si riduce il rendimento dell’altoparlante. Ciò con il pilotaggio in corrente non capita essendo la corrente circolante la medesima. Se quindi abbiamo condizioni di lavoro che comportano anche il pilotaggio con potenze elevate questi due fattori possono avere la loro influenza. I contro?
1) Totale assenza di smorzamento dell’equipaggio mobile dell’altoparlante da parte dell’amplificatore: la membrana del woofer finito il transitorio di pilotaggio continua a muoversi in principal modo nella zona della sua risonanza. Nessun “freno” da parte dell’amplificazione contrariamente a quanto avviene con un’amplificazione in tensione.
2) Obbligo di compensare la risposta in frequenza dello specifico altoparlante impiegato. Ciò è possibile con gli attuali processori digitali ma…occorre appunto convertire in digitale il segnale con perdite qualitative che vanno ben oltre (opinione dello scrivente) i possibili vantaggi in termine di distorsione con pilotaggio in corrente.
3) I vantaggi in termini di distorsione armonica nel pilotaggio principalmente dei woofer, sono presenti solo al di sopra della zona di risonanza e solo a fronte di utilizzo con sistemi attivi (l’amplificatore deve “vedere” direttamente l’altoparlante).
Non è difficile comprendere a fronte di quanto sopra, il motivo per cui il 99,9% degli amplificatori in commercio sia in tensione: è l’unico modo (che non comporti lo scalare l’Everest…) per evitare che il pilotaggio di un sistema di altoparlanti non diventi una generazione di colorazioni.
Purtroppo capita, a fronte dell’attuale “educazione” (leggasi diseducazione) all’ascolto, che spesso ci vengono vendute come scelte di qualità di alto costo, quelle che in realtà non sono altro che palesi ondulazioni della risposta in frequenza con relative esaltazioni dei picchi di risonanza dei singoli altoparlanti.

Considerazioni a latere
Chiunque sia dotato di un paio di orecchie ha potuto verificare che, pur a fronte di molte amplificazioni (spesso appartenenti al vintage) con buona/ottima risposta in frequenza su carico reale, solo poche, pochissime di queste possono vantare una capacità riproduttiva in grado di non litigare con l’orecchio. Nell’ambito dei nostri meeting di ascolto a libera partecipazione abbiamo più volte toccato con mano le ragioni che determinano queste differenze, a parità di linearità di risposta, ma vi sono altri ambiti pubblici (la maggior parte degli altri ambiti) in cui le differenze ad esempio tra due amplificatori valvolari, si attribuiscono quasi esclusivamente al tipo di trasformatore di uscita o al tipo di valvole impiegate. Ormai per buona parte degli appassionati, l’unico elemento attivo degno di venir preso in considerazione è la valvola. Ma, come visibile sia dalle misure sul mio sito che dalle prove sulle riviste specializzate, la tendenza odierna è quella di costruire amplificatori a valvole che pur essendo sulla carta amplificazioni in tensione, presentano un’impedenza di uscita che è ben lungi dal tendere allo zero ma anzi è talvolta ben superiore all’Ohm. Sul magazine italiano Audio review, a fronte di verifiche strumentali su amplificazioni valvolari, viene abitualmente tracciata la risposta in frequenza con quattro differenti carichi resistivi (2,4,8,16 Ohm), questa scelta svincola dall’avere un carico reale “standard” ma purtroppo (trovando rappresentazione con curve lineari parallele) non rende un’idea immediata del disastro in atto a chi non ha basi tecniche. Applicando il buon senso si può però comprendere che un amplificatore il cui livello di uscita si riduce di 3dB passando da un carico di 16 Ohm a uno di 4 Ohm (ovvero due valori che sono normalmente entrambi riscontrabili nella stessa curva di impedenza di molti sistemi di altoparlanti) NON PUO’ non essere un generatore di colorazioni. Parlare poi di fattore di smorzamento a fronte di impedenze di uscita addirittura superiori ai 2 Ohm è fare dell’ironia.
Discorso molto diverso lo si ha con valvolari mediamente antecedenti agli anni 80 in cui la tendenza a voler simulare (per quanto possibile) un generatore di tensione ideale era ben più radicata: sono rari gli amplificatori d’epoca, tra quelli dediti all’alta fedeltà, con prestazioni scadenti sotto questo punto di vista. Ai nostri giorni invece è palese e palesemente accettata la tendenza all’interpretazione. Sta addirittura prendendo piede, in certi ambiti, l’assurdo che per suonare, un amplificazione debba essere poco lineare.
Ma perché accade questo?
Se non si riesce a far suonare un amplificazione in condizioni di linearità, perché le conoscenza sulle cause del suono non sono ancora di dominio pubblico (e data l’imperante ottusità temo non lo saranno ancora per molto tempo) quale altra strada si può percorrere per dimostrarsi diversi e più convincenti degli altri ?
La risposta possibile è una sola: riuscire a vendere le colorazioni spacciandole per migliore qualità. Credete che questa sia un’interpretazione distante dal vero? Guardate ad esempio i grafici di risposta in frequenza su carico reale di un Ongaku (qui) rispetto a quelli di un vecchio Marantz 9 (qui) per rendervene conto. Purtroppo l’orgoglio e lo snobismo impedisce chi normalmente traffica con oggetti da decina di migliaia di euro di prendere in seria considerazione altro, a maggior ragione se non si è interessati al suono ma solo ad altri fattori (estetica, “status symbol” etc). Chi ha ampie disponibilità raramente ha anche l’umiltà necessaria per valutare criticamente indipendentemente dai costi, ritiene infatti che i soldi spesi debbano valere qualità come regola matematica. Una regola che in alta fedeltà è quasi costantemente disattesa. Provare a combattere questo condizionamento ha la stessa probabilità di riuscita del provare a risalire a nuoto un fiume a fronte di una forte corrente.
La tendenza all’interpretazione è un virus che temo andrà sempre più prendendo piede in mancanza di adeguati censori e non è questa certo l’epoca per censori quanto per pubblicitari. Il potere della rete di dare a tutti la possibilità di esprimersi è anche il suo più grosso limite in quanto tutto viene ad appiattirsi verso il basso. Oggi i “Maestri” del settore sono quelli che riescono appunto a proporre molta “quantità” (l’occhio vuole la sua parte…) abbinata spesso a notovoli quantità di colorazioni. Ovviamente a fronte di ciò TUTTI vi diranno che Ambrosini dice fregnaccie….mentre vi prosciugano delicatamente il portafoglio. Per contro un appassionato che abbia verificato fatti validi, che vanno però controcorrente rispetto all’attuale moda, se ne guarda bene di scriverlo in rete per paura di venire letteralmente divorato dalla massa “benpensante”. Verrebbe utile rileggere i princìpi di propaganda di Goebbels (vedi links) per riflettere su quanto siamo facilmente “pilotabili” dagli altri…